"Che fare?" La storia del titolo del libro che rese famoso Lenin
Che fare? sottotitolo: Problemi scottanti del nostro movimento, è una delle più importanti opere politiche di Lenin, che scrisse fra l'autunno del 1901 ed il febbraio 1902, e fu pubblicata per la prima volta a Stoccarda nel marzo dello stesso anno. In essa Lenin delinea in modo sistematico la sua teoria dell'organizzazione e la strategia del partito rivoluzionario del proletariato.
Particolare curioso e a non a tutti noto: quel titolo scelto da Lenin richiama il celebre romanzo Che fare? di Nikolaj Gavrilovič Černyševskij, il quale lo scrisse fra il dicembre 1862 e nel corso del 1863 nella fortezza di Pietro e Paolo, a San Pietroburgo, dove era prigioniero. Perchè Lenin intitolò la sua opera Che fare? non è dato sapere. Molto meglio conoscere le vicende dello scrittore incarcerato perchè aiutano a capire anche il presente. Infatti, oggi come allora, a carico di Černyševskij non era stata formulata nessuna accusa formale, ma si era certamente attirato le attenzioni della polizia zarista, e si era ritrovato dalla sera alla mattina, dietro le sbarre della fortezza di Pietro e Paolo.
Nikolaj Gavrilovič ČernyševskijIl 31 maggio 1864, ebbe luogo l'esecuzione civile di Černyševskij, ossia la cancellazione dei suoi diritti di cittadino. Nella giornata di pioggia, una folla eterogenea si assiepò intorno alla barriera fatta dai soldati, gendarmi a cavallo e guardie civiche, innalzata attorno al palco. Giunse la carrozza con il prigioniero in catene, e con la scritta «Gosudarstevennyj prestupnik» (Criminale di Stato) su un cartello di legno appeso al collo.La storia di Nikolaj Gavrilovič ( tramandata anche da Wikipedia ) è davvero imponente, ma la parte che più ci interessa segnalare riguarda l'evoluzione del suo pensiero politico e filosofico. Presto le audaci opinioni, anticonformiste, che non guardavano in faccia nessuno, produssero la vivace reazione dei conservatori, cui Černyševskij rispose con il saggio, Sulla sincerità della critica, nel quale sosteneva che, spesso i critici non avevano il coraggio di pronunciarsi contro un'opera artisticamente debole, se a scriverla era stata la penna di uno scrittore di fama.
I primi entusiasmi evaporarono quando, a gennaio del 1858, apparve subito chiaro che il vero problema erano i termini in cui, verosimilmente, sarebbe stata attuata la riforma.
La liberazione non avrebbe comportato il possesso della terra, che i contadini avrebbero lavorato come fittavoli o braccianti, e anche l'abitazione sarebbe stata da loro acquisita solo mediante riscatto. Inoltre, sempre riuniti nella comune agricola, avrebbero continuato a essere sottoposti alla polizia privata dell'antico padrone.
Con la censura che lasciava poco spazio alla discussione e che solo saltuariamente si allentava, Černyševskij iniziò la sua battaglia in difesa dell'obščina non tanto per garantirne la sopravvivenza nella sua forma attuale, quanto per spiegare i modi attraverso cui sarebbe stato possibile trasformarla in un moderno sistema cooperativistico, capace di sfruttare le «conquiste tecniche» del capitalismo senza replicarne le brutture: la concorrenza spietata e la diffusa miseria.
Abolita la servitù, accanto a «isole piccole e grandi» di terre in mano ai privati, ci sarebbero state porzioni ancora maggiori di terre statali e collettive, che dovevano «soddisfare il diritto incancellabile d'ogni cittadino» ad avere un proprio campicello da cui trarre i mezzi di sussistenza.
La proprietà collettiva avrebbe protetto i contadini dalla fame e assicurato il diritto al lavoro. Naturalmente la sua speranza era che la Russia avrebbe fatto tesoro dell'esperienza occidentale per saltare «tutte le fasi intermedie» dello sviluppo capitalista, o almeno alleggerirne la drammatica portata, e passare alle forme economiche di tipo socialiste.
La terra fu accordata a condizioni troppo gravose in termini economici, e in quantità notevolmente ridotta sia rispetto a quella che era stata lavorata dai contadini per conto del padrone, che rispetto a quella coltivata in proprio. In realtà, all'incirca metà della terra rimase ai proprietari.
Le disposizioni che dovevano regolare la spartizione e altre questioni inerenti alla complessa questione dei rapporti feudali, confuse e inconcludenti, divennero oggetto di contenzioso da risolversi nei due anni successivi.
Nel frattempo, i contadini avrebbero continuato a fornire prestazioni di lavoro gratuito.


